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Le buone domande che plasmano un progetto

La capacità di fare buone domande – a se stessi e agli altri – è una dote fondamentale di un progettista consapevole. Tale attitudine implica coraggio e responsabilità, nel suo valore etimologico, l’assunzione di un impegno a rispondere, a qualcuno o a se stessi, delle proprie azioni e delle conseguenze che ne derivano. Con l’esperienza ho imparato che la buona riuscita di un progetto deriva in larga misura dalle domande che ho il coraggio di pormi e dalle risposte o soluzioni che sono in grado di trovare, di volta in volta diverse.

Da come avrete intuito, la parola scelta per questo articolo di Basic Days è domande, partendo dall’ultima sillaba di tondo (ton-do). Ecco qui una lista di domande – e risposte – che ho annotato in ordine rigorosamente sparso e che mi aiutano a plasmare i progetti che mi vengono affidati.

Da dove inizio?

Di norma, l’inizio di un progetto è rappresentato dalla richiesta del cliente. Cerco di comprendere le sue esigenze e i suoi tempi. Ma la parte più rilevante è intuire il sotto-testo, l’universo delle aspettative implicite, a volte anche inconsapevoli, che spesso contano di più di quello che viene espressamente dichiarato.

Mi sto divertendo?

Per me trovare la soluzione giusta ad un problema – progettuale, tecnico, estetico – è fonte di soddisfazione e anche, il più delle volte, di divertimento.

Ho fatto abbastanza ricerca?

La fase di analisi mi serve per capire il contesto in cui avrà luogo la comunicazione. Studio la personalità del brand, i suoi valori e il suo linguaggio. Analizzo i competitor e il loro modo di esprimersi. Osservo le ultime tendenze e gli aspetti tecnici da tenere in considerazione. Leggo saggi, blog e magazine, interpello dizionari, consulto banche di dati e immagini, guardo documentari, spot e film. Cerco ispirazione nelle bacheche di condivisione come Behance e Pinterest. Annoto le parole-chiave e creo delle mood-board per aiutarmi a sintetizzare l’universo di riferimento.

Ho fatto del mio meglio?

Questa domanda è iterativa. Torna e ritorna a galla durante i vari step di lavoro. Devo sempre poter rispondere un sì, convinto. Altrimenti riprendo dal passaggio precedente e correggo.

Il cliente ha sempre ragione?

Potremmo anche dirlo così: il cliente ha le sue ragioni. Ma detto questo, ciò che ritengo importante è che il cliente sia consapevole. Di che cosa? Delle richieste, delle modifiche e delle proposte che si accinge a valutare. Tuttavia, ci sono situazioni in cui il compromesso è l’unica strada percorribile.

Quante proposte presento?

Dipende, dal tipo di progetto. Nel caso dello studio di un marchio, per esempio, 3 proposte possono essere una quantità corretta per valutare diverse strade preliminari. Se si tratta di un materiale singolo come una copertina o un manifesto, il numero di varianti può arrivare a 4 o 5. In questo caso, per esempio potrebbe trattarsi di un layout che cambia solo in termini di palette cromatica o scelta iconografica. Nel caso di un progetto più complesso, come un catalogo o un sito web, una volta individuata la strada da percorrere, si può lavorare con una singola proposta che viene di volta in volta articolata in tutte le sue sezioni.

Mi ricorda qualcosa?

Cerco sempre di valutare con onestà il mio lavoro, da un punto di vista esterno. Può capitare a tutti di avvicinarsi ad una soluzione visiva già praticata o di intravedere delle somiglianze con un’altra creatività. L’importante è non affezionarsi troppo a nessuna proposta, anche se ci è costata fatica e impegno, e formulare sempre delle creatività originali e uniche.

C’è coerenza?

Un progetto coerente possiede un’unità interna armonica che lo rende solido e flessibile. Grazie a questa qualità, tutte le sue parti sono legate da una medesima poetica, senza contraddizioni. É una delle qualità che ritengo più importanti in un progetto di comunicazione visiva, spesso articolato su molti materiali e declinato su vari canali.

Il messaggio è comprensibile?

Il messaggio è il nucleo centrale della comunicazione ed è fondamentale che venga compreso con chiarezza. Nel mio lavoro cerco di rendere visibile la complessità e cerco di farlo nel modo più semplice e diretto possibile.

Il linguaggio è quello giusto?

Fotografie, forme geometriche, pattern, illustrazioni, immagini al tratto, uso della tipografia, tono di voce, formato, colore, bianco e nero, pittogrammi, icone, e così via. Sono tutti elementi ausiliari che possiamo usare per raccontare un brand e la sua personalità visiva, accostati al marchio, al monogramma o al logotipo istituzionale. Quando lavoro ad un nuovo progetto esploro tutte queste possibilità per identificare il linguaggio adatto all’universo di riferimento e ai suoi valori.

A chi mi rivolgo?

Chi guarderà questa copertina? A chi è rivolto questo sito? Chi sono le persone che cercheranno questo prodotto sui motori di ricerca? Individuo le persone a cui sto parlando, chi mi interessa coinvolgere, a chi voglio raccontare qualcosa.

Eccoci arrivati al termine di questa essenziale lista di domande che ho voluto condividere e che mi aiuta a gestire al meglio i progetti di comunicazione a cui lavoro. E voi? Quali sono le domande più ricorrenti che che vi fate durante la vostra attività? Scrivetele sotto nei commenti!

La comunicazione visiva è il mondo che abito da 15 anni. Ogni giorno lo esploro con passione e curiosità, ricercando lo stile perfetto per la tua immagine o per raccontare la tua azienda.

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